Dalla premessa
Offrendo ai lettori questo testo di mistagogia nella Collana "Esperienza e fenomenologia mistica", il primo interrogativo che si presenta è il seguente: può esistere una educazione alla vita mistica? Non è forse una contraddizione in termini coniugare l'apprendimento con la passività tipica di un dono che, pur se desiderato, resta sempre affidato alla liberalità sovrana di Dio? Ci sembra che se ritorniamo alla classica definizione di "educare" come "educere", trarre fuori, rendere consapevoli di qualcosa che è già costituzionale all'uomo, Tresmontant {La mistica cristiana e il futuro dell'uomo, Casale Monferrato (AL) 1988) direbbe di un qualcosa che ontologicamente unisce l'uomo a Dio, allora la contraddizione non esiste più.
Il mistagogo non fa che aiutare la persona a percepire, ad affidarsi a questo dono di unione con Dio che in Gesù Cristo si è fatto rivelazione di un progetto di unione con Dio uno e trino, pensato da tutta l'eternità.
A questo proposito vengono in mente le parole: « Siete] partecipi della natura divina» (2 Pt 1, 4), cioè la vita divina partecipata è ormai una realtà viva e concreta. San Paolo, che può essere definito il mistagogo per eccellenza, non si ferma a svelarci il mistero di Dio manifestato in Gesù Cristo, ma ci offre un cammino che, iniziando dalla consapevolezza del «non sapete che siete il tempio di Dio» (1 Cor 3, 16) passa attraverso la vita teologale fino a concludere: « Non sono più io che vivo... » (Gal 2, 20).